Alla mostra di Americo Mazzotta a Rimini si incontra l’uomo

Ho visitato questa settimana la mostra del pittore Americo Mazzotta “La dimensione della memoria” al Castel Sismondo a Rimini, insieme alle opere scultoree di Paola Ceccarelli, di cui parlerò prossimamente.
Ho visto la forza dei personaggi di Michelangelo, ho visto la dolcezza delle Madonne di Bellini, ho visto la poesia del quotidiano dei macchiaioli fiorentini. In quel terzo piano al Castel Sismondo entri in un “Purgatorio” dantesco dove trovi tutta l’umanità di oggi in bilico tra il suo limite e la speranza di una redenzione, tra la tenerezza dei quadri di bambini e il dolore dei morituri di Lepanto e di Auschwitz. Se alla Fiera, al Meeting, (che si svolge in questa settimana e si chiude sabato 30 agosto) c’è il crogiolo dell’umano in atto che incontra l’umano in potenza, qui l’umano esplode in tutta la sua evidenza di visione, di immagine, di forma. L’umano è la forza della pittura di Mazzotta, ma un umano attraversato da una dolcissima “luce divina”. Scriveva Segantini: “Attraverso il colore e la luce che è la vita del colore io cerco di rappresentare l’espressione e il carattere delle cose. E questo rappresenta il mistero della fattura che contiene un’armonia sinfonica di colorazione”. Penso che questa definizione di Segantini della propria pittura possa attagliarsi perfettamente anche a quella di Mazzotta: c’è nella sua opera un “mistero della fattura” che ce la impone come un’opera modernissima e contemporanea, ma nello stesso tempo proveniente dalle profondità dell’essere e della tradizione. Un’opera contemporanea per contemporanei che si sono distratti, che sono “andati via”, ma che, con uno spiraglio ancora di umanità nel cuore e nello sguardo, si sono fatti attrarre dalla misteriosa bellezza di questa suggestiva “sirena” che è il “mistero della fattura”, cioè l’inconfondibile stile, delle opere di Americo. Il poeta Alfonso Gatto è il genio – c’è sempre questa profonda parentela e simpatia fra genialità – che meglio ha colto il senso di questa “contemporaneità non contemporanea”, cioè di questa capacità di parlare al cuore dei contemporanei e commuoverli usando un linguaggio contemporaneo ma fatto, però, di un alfabeto antico, tradizionale, perenne. Egli, infatti, ha definito l’arte di Mazzotta: “L’essere fuori del tempo, col tempo addosso”; e spiega subito dopo cosa intende; infatti, egli parla di Mazzotta e delle sue “figurazioni” che “egli va liberando dalle profonde inumazioni della memoria” e le restituisce “alla vita”. Cioè, egli rende viva quella figurazione che la memoria ha inumato, cioè che il passato ha sepolto: egli la restituisce alla vita. E’ la stessa definizione che Manzoni dà alla Storia, nel famoso prologo fintamente seicentesco dei “Promessi Sposi”: restituisce alla vita i cadaveri del passato. Dare vita a ciò che è “inumato” dalla mancanza di memoria, a ciò che è morto perché passato: qui, nell’opera di Mazzotta, la Storia e la Pittura si alleano per ridare una speranza all’uomo contemporaneo, troppo distratto e, soprattutto, troppo diseducato ad avere lo sguardo limpido del bambino. Cioè insegna a noi contemporanei non ancora addormentati a guardare veramente, a riconoscere la vita in quello che ritenevamo morta figura e fa vedere quanto in realtà di morto ci sia in tanta contemporaneità che acclamiamo come trionfante.
Per quanto mi riguarda, io ho intravvisto questo “mistero della fattura” dell’opera di Americo in quattro elementi, che possono bene coincidere fondamentalmente con le quattro sezioni in cui si suddivide la mostra.
Il primo è la tragedia dell’umano contemporaneo: Mazzotta descrive, come Dante, il Purgatorio e l’Inferno di una umanità che ha, come dice Eliot, “abbandonato la Chiesa”, cioè non ha più riconosciuto come parte integrante del mondo moderno la contemporaneità di Cristo, rispondendo “no” alla famosa e agghiacciante domanda di Dostoevskij: “Può un intellettuale moderno credere ancora alla divina umanità di Cristo?”. In questo senso i cicli di Redecesio e di Auschwitz sono eloquenti.
Il secondo è la lotta dell’io “contro i propri principi”, come Ulisse con i Proci. Figlio orfano di questa paternità perduta, Mazzotta, cioè lui stesso emblema dell’uomo contemporaneo, si trova a lottare contro se stesso, dilaniato, come un moderno Petrarca, tra la nostalgia del ritorno a casa e la convinzione che la modernità ha instillato in lui, che la casa non ci sia più e che c’è solo “Deserto e Esodo” come nel pavimento di Redecesio.
Il terzo è la “luce divina” nell’umano: è l’incontro con “la carezza del nazareno” alla tragica fragilità dell’uomo che avviene nel misterioso scambio fra cielo e terra che è la incarnazione, che traspare evidente nei stupendi “Crocifissi”, nella nera “Madonna di Kawa-Sukary” e nelle “Nozze di Cana”, dove Cristo fa il miracolo dell’acqua tramutata in vino in una festa di nozze contemporanea: cosa desidera di più l’uomo di oggi se non che Qualcuno tramuti l’acqua della nostra povertà umana in vino di letizia, che a ciò che è segnato dalla morte venga dato il soffio della vita?
Il quarto è la dolcezza del quotidiano: nei volti stupendi di donne, nei giochi dei ragazzi, nei ritratti di amici, nelle scene famigliari. In tutti questi ambiti del quotidiano Mazzotta coglie una sublime scintilla di triste bellezza e di nostalgico desiderio. Tutti i personaggi sono in bilico, in una strana sospensione e attesa (come in “Tutto è attesa” del 1991), tra un qualcosa che c’è (l’amore della cui luce sono illuminati tutti i personaggi) e un qualcosa che manca o sta per mancare (come in “Alla finestra” del 1978) e, ancora, in qualcosa che sta per arrivare, come nella bellissima “Penelope” del 1981, che sembra una laica “Annunciazione”.
Grazie, Americo, perché io conosco solo Uno, che è il Signore della Storia, che sa ridare vita a qualcosa che è morto. Ma l’Arte, tramite la Bellezza, riflesso del Mistero, che riesce misteriosamente a catturare, può resuscitare ciò che è sepolto nel passato del nostro inconscio comune. E, dunque, imita Dio. Andate a vedere la mostra, aperta fino all’8 dicembre, perché è un grande dono che potete fare a voi stessi, per ringiovanire mentalmente di qualche anno.

Un pensiero su “Alla mostra di Americo Mazzotta a Rimini si incontra l’uomo

  1. Americo Mazzotta ha detto:

    Caro Zennaro ti ringrazio dal profondo del cuore per le tue parole che coincidono con quelle di molti che hanno visto la mosta.- L’umano è una riscoperta, la memoria si incontra, così oggi una prof. di filosofia ha detto dopo aver attentamente visitato l’esposizione.Un abbraccio, Americo

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